L'ARCHITECTURE VERNACULAIRE

 

 

 

ISSN 2494-2413

TOME 34-35

2010-2011

 

Edoardo Micati

I PALMENTI DELLA PROVINCIA DI PESCARA (ITALIA)

Riassunto

In alcune zone della montagna abruzzese, a testimonianza di una capillare coltivazione della vite, troviamo, direttamente nelle campagne, impianti di pigiatura dell’uva realizzati scavando le rocce affioranti dal terreno. L’impianto è in genere formato da una vasca per la pigiatura comunicante con un pozzetto per la raccolta del mosto. Superiormente alla vasca di pigiatura veniva innestata una lunga trave che abbassata con una vite senza fine realizzava la torchiatura delle vinacce. Tale sistema ha una origine molto antica e ne troviamo delle precise descrizioni sia in Plinio che in Catone. Lo scopo di questi impianti situati in prossimità delle vigne era quello di evitare il trasporto delle uve fino alle cantine dei propri paesi, poiché era certamente meno gravoso trasportare solamente il mosto.

Abstract

In some rural areas of Abruzzo where wine growing once was widespread, there exist field installations that were used for crushing grapes. These devices were dug out out of the rock substrate and consisted of an upper basin for crushing the grapes and a lower basin for collecting the must (juice). Over the crushing basin, a long horizontal beam was installed and depressed by means of a screw to squeeze the grapes marc. This device originates in ancient times as shown by the detailed descriptions of it given by Pliny and Cato. The location of these crushers in the vineyards meant that only the must had to be carted to the village cellars (the heavier marc being left behind).

 

Il vino costituisce da alcuni millenni un vero e proprio alimento. Fra le sue molteplici proprietà vi è quella di essere un ottimo energetico ed il suo consumo era di uso comune fra coloro che lavoravano duramente, schiavi compresi: pertanto lo troviamo, di discreta o cattiva qualità, anche nelle classi meno abbienti. La vinificazione praticata nei tempi antichi non era certamente molto raffinata e spesso solo l'aggiunta al vino di varie sostanze, prassi piuttosto comune, riusciva a coprire parzialmente difetti e malattie. Chiunque possedesse un piccolo podere riservava sempre la parte più assolata all'impianto di una vigna nonostante le difficoltà e l'impegno lavorativo che tale tipo di coltura solitamente richiede.

Dopo la raccolta delle uve iniziava la vinificazione con la pigiatura e la successiva torchiatura delle vinacce. Quando la vigna era molto distante dall'abitazione o dalla cantina non era sempre conveniente trasportarvi l'uva per effettuare tali lavorazioni e questo soprattutto per due motivi: il maggior peso e volume delle uve rispetto al mosto che si sarebbe ricavato e la perdita di liquido nelle varie fasi del trasporto. In secondo luogo bisogna considerare che nei rustici delle piccole abitazioni di paese, spesso ricavati nei piani seminterrati, non sempre vi era lo spazio necessario per realizzare delle vasche di pigiatura e un torchio a trave.

Tutto ciò era sufficiente a giustificare la realizzazione nelle campagne di molte zone dell'area mediterranea, soprattutto nella media montagna e in zone scoscese, di grandi vasche per la pigiatura scavate nelle rocce affioranti dal terreno, o costruite con pietre e legante, in prossimità delle vigne e possibilmente a valle di queste.

Da una sommaria indagine condotta in alcune regioni con tradizione vinicola si è potuto costatare che l'uso di realizzare delle vasche di pigiatura all'aperto in prossimità delle vigne era piuttosto frequente. Retaggio della colonizzazione greca dell'Italia meridionale, sono particolarmente diffuse in Calabria, Puglia, Sicilia e Campania, ma le troviamo anche in Toscana e sicuramente in altre regioni italiane. Al di fuori dell'Italia sembra particolarmente ricca la regione francese dell'Ardèche a giudicare dalle notizie fornite dal Prof. Michel Rouvière. [1]

In Abruzzo sono presenti nel comune di Pietranico, in provincia di Pescara, in alcune località del Chietino (Pennapiedimonte, Lama dei Peligni, Palena) e del Teramano (Fano Adriano). Per la provincia dell'Aquila il De Nino ne segnalò la presenza a Ripa di Fagnano e a San Demetrio dei Vestini, sempre nella provincia dell'Aquila. Abbiamo altri ritrovamenti nell'agro di Ofena [2], zona particolarmente vocata alla coltura della vite; inoltre negli scavi archeologici condotti nel territorio di Molina Aterno (Aq), si sono rinvenuti vasche di pigiatura e strutture appartenenti ad un torchio a trave.

Rimanendo sempre nella regione abruzzese troviamo particolarmente interessanti le notizie su antiche vasche di pigiatura, contenute negli statuti della città di L'Aquila e riportate dal Lopez in un suo interessante saggio:
...la stanza della casetta di campagna nella quale era installato il torchio era detta "la vasca". Tale termine si estese ad indicare l'intero piccolo edificio, e si incontra ancora oggi nella toponomastica locale, dove indica qualcuno dei piccoli gruppi di case cresciuti attorno agli edifici originari: le Tre Vasche, le Vasche di Pianola, le Vasche di S. Giacomo, Vasca Penta (dipinta). La "vasca" era una costruzione caratteristica dell'Aquilano, posta a valle del declivio piantato a viti e costituita da due vani: quello inferiore conteneva la vasca vera e propria, nella quale si raccoglieva il mosto prodotto nel vano superiore, attraverso un foro al centro del pavimento su cui veniva pigiata l'uva, al quale vano superiore si accedeva attraverso solo qualche gradino, essendo la costruzione appoggiata al pendio. [3]

Fano Adriano

E' chiaro che in questo caso si tratta di vasche interamente costruite. Queste piccole costruzioni rurali sono particolarmente numerose nell'isola del Giglio, ma qui le vasche, scavate nella roccia, non sono sovrapposte ma in successione e quella per la raccolta del mosto risulta, nella maggior parte dei casi, esterna [4]. Le vasche n° 5 e 6 di Pietranico erano anch'esse coperte, fino ad alcuni decenni fa, e da un lato di entrambe sono ancora visibili i resti di un muro.

Fano Adriano

L'importanza di tali strutture di vinificazione viene rilevata anche dall'Antinori [5] il quale ... ricorda una deliberazione con la quale la Camera aquilana richiamò in vita nel 1507 una "franchigia" che le riguardava, il divieto cioè di coltivazione e di pascolo su un certo spazio di terreno ad esse circostante. [6]

Pietranico : vasca No 6

Metà delle vasche esaminate non mostra chiaramente i segni della presenza di un torchio, testimoniata in maniera inequivocabile dal foro per l'innesto della trave, però troviamo quasi sempre fori ed incavi che fanno pensare ad un semplice sistema di torchiatura di cui è difficile ricostruire la meccanica. Non troviamo logica, invece, l'esistenza della sola vasca di pigiatura poichè questa fase iniziale della vinificazione non risolve completamente il problema che ha giustificato la nascita di tali impianti in prossimità delle vigne. Infatti le vinacce andavano in ogni caso torchiate ed appare improbabile che le si trasportasse in un altro luogo per tale operazione.

Pietranico : vasca No 2

A metà del I secolo a. C. si diffuse nell'Italia centro-meridionale un particolare tipo di torchio, chiamato torchio a trave, costituito da un pesante palo di legno impiantato orizzontalmente su di una vasca rettangolare con la platea rialzata. Su uno dei lati della vasca era ricavato un incasso quadrangolare, dove veniva imperniata una delle estremità del palo. L'altra estremità veniva abbassata mediante un sistema collegato ad una vite senza fine inserita fuori della vasca.
E' interessante riportare la descrizione di un torchio a trave fatta da Plinio:
Nei torchi ha importanza la lunghezza, non lo spessore. I torchi grandi premono meglio. Gli antichi li facevano abbassare con funi, cinghie di cuoio e leve. Negli ultimi 100 anni si sono inventati i torchi greci, con un albero centrale scanalato a spirale; a questo albero alcuni fissano un blocco di pietra, altri invece una cassa piena di pietre che si solleva insieme con l'albero: è questa la soluzione più apprezzata. [7]

Pietranico : vasca No 1

Probabilmente, almeno nella fase iniziale, in questo tipo di torchiatura le vinacce erano contenute in un sacco e, inoltre, per distribuire meglio la forza premente, nel punto in cui il palo toccava il materiale da spremere erano fissate delle robuste tavole di legno in modo da formare una gabbia di contenimento delle vinacce. Successivamente sarà realizzato il cilindro a listelli che con alcune modifiche verrà applicato ai torchi più moderni.

Il principio di funzionamento del torchio a trave è quello di una leva di secondo genere, il cui fulcro è l'incastro (f) nel quale si inserisce la "testa" del palo, la forza resistente corrisponde alle vinacce (u), collocate vicino al fulcro e, infine, la potenza è la vite senza fine applicata all'estremità (v), o il sistema di taglie dell'argano. La platea della vasca era realizzata con una leggera pendenza, in modo che il liquido della spremitura potesse defluire, tramite un condotto, in una vasca più piccola, dentro la quale veniva raccolto.

Figura Sergio Gnesda secondo Edoardo Micati.

L'incastro della trave nella roccia delle vasche censite era realizzato in modo molto rudimentale, semplicemente inserendo la sua estremità nell'incavo. Nei torchi a trave più grandi, che troviamo in molti casali della montagna abruzzese, il fulcro veniva perfezionato tramite un perno passante che ancorava la trave alla parete di sostegno e diveniva nello stesso tempo il suo asse di rotazione.

La vite senza fine veniva collegata ad una grossa pietra; la rotazione provocava l'abbassamento della trave e l'aumento di pressione sulle vinacce. Continuando con l'azione di avvitamento si arrivava al massimo della pressione raggiungibile quando la pietra di base si sollevava.

Solamente le vasche n° 2 e n° 5 di Pietranico conservano, nei pressi della vasca, la pietra di ancoraggio della vite, mentre nella vasca n° 2 di Lama dei Peligni troviamo la base in pietra del torchio. Nella vasca n° 4 di Pietranico la vite senza fine non veniva fissata ad un contrappeso ma alla stessa vasca tramite un foro quadrangolare. Molti di questi elementi accessori, malgrado il loro notevole peso, sono stati rimossi [8] o sono rotolati lungo il pendio. Ne abbiamo comunque una ricca tipologia nei torchi a trave costruiti nelle cantine, in particolare nella zona di Carapelle Calvisio e Castelvecchio Calvisio.

Il torchio a trave ha una origine molto antica e ne troviamo delle precise descrizioni sia in Plinio che in Catone [9]. Plinio evidenzia il fatto che tale tipo di torchio è particolarmente adatto alla spremitura di grandi quantità di uva e ciò è in perfetta sintonia con le grandi vasche di pigiatura rinvenute nei "casini" della Valle di Vusci, in comune di Carapelle Calvisio.

NOTES

[1] In questa regione francese molte vasche sono utilizzate per la macinatura e la spremitura delle olive. Voir Michel Rouvière, "Les oliviers des Serres de Vinezac", in Piedras con raices, n° 9, ARTE, Cacerès, 2005, pp. 47-56.

[2] Diamante De Luca, "Primi passi di sviluppo industriale sulla sepolta civiltà arcaico-vestina", in L'amico del popolo, 14 aprile 1965.

[3] Luigi Lopez, "Vigne e vino nelle memorie e negli statuti dell'Aquila (XIII-XVII sec.)", in R.A. n° 2, 1997, p. 146. Vedi anche: A. De Matteis, L'Aquila e il contado..., Napoli, 1973, p. 153, nota.

[4] Mario Brandaglia, Il vitigno Ansonica, Provincia di Grosseto, 2001, pp. 95-109.

[5] A. L. Antinori, Manoscritto, vol XVIII, 4 e 7, Biblioteca Provinciale dell'Aquila.

[6] Luigi Lopez, op. cit., p. 146.

[7] Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, Libro XVIII, p. 835.

[8] Una di queste pietre è divenuta, nelle campagne di Carapelle C., la base di un tavolino in pietra.

[9] Marco Porcio Catone, De agri cultura, XVIII-XIX, pp. 73-77.


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© Edoardo Micati - CERAV

Il riferimento al presente articolo saranno citati come segue :

Edoardo Micati

I palmenti della provincia di Pescara (Italia)

L'architecture vernaculaire, tome 34-35 (2010-2011)

http://www.pierreseche.com/AV_2010_micati_it.htm

13 avril 2010

L’auteur :

Ethnologue, spécialiste reconnu de la petite architecture rurale des Abruzzes en Italie, Edoardo Micati s'est intéressé aux cabanes en pierre sèche, aux ensembles pastoraux de montagne, aux inscriptions gravées par les bergers sur les rochers et dans les grottes pastorales, aux cuves de foulage en plein champ, etc., publiant le résultat de ses travaux dans des revues italiennes ainsi qu'étrangères (comme L'architecture vernaculaire ou Piedras con raíces) et dans plusieurs livres publiés par des maisons d'édition italiennes.

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